ROMA, 10 giugno 2004 - Non uno dei misteri che fin dall'inizio hanno circondato il sequestro delle guardie private italiane in Iraq è stato sciolto all'indomani della loro liberazione. Anzi, è buio fitto anche su molti aspetti del perfetto blitz di martedì. Al di là della grancassa elettorale, il governo ha rivelato ben poco, e nelle dichiarazioni di un Berlusconi incontenibile emerge più di una contraddizione sui modi e il luogo della liberazione. Innanzitutto non ci sono conferme - né dettagli di alcun tipo - sui carcerieri arrestati dagli americani dopo il blitz. Una circostanza fondamentale che il generale Sanchez, il capo delle truppe Usa, ha omesso subito dopo la liberazione, ma confermata dal premier italiano. Secondo molte voci circolate ieri non sarebbe stato effettuato alcun arresto. Mistero fitto anche sulla località dove erano segregati i nostri connazionali e il polacco Jerzy Kos. Il governo italiano ha sbandato più volte: a caldo Frattini aveva parlato di una casa alla periferia di Baghdad, dove i quattro ostaggi erano tenuti tutti insieme. Mentre le agenzie polacche parlavano invece di Ramadi (una cittadina a 110 km dalla capitale irachena). Scelta abbracciata a tarda notte anche dal premier in tv. Sembra invece che il blitz sia avvenuto alla periferia di Baghdad, presso il carcere di Abu Ghraib, in una casupola vicino a una moschea, mentre quasi tutti i carcerieri si erano misteriosamente allontanati. La maggior parte della loro detenzione gli italiani l'avrebbero passata a Ramadi. I trasferimenti degli ostaggi avvenivano con macchine della polizia truccate o falsi taxi.

A complicare le cose alcuni particolari riportati dal maggior quotidiano polacco, che divergono con la versione italiana. La Gazeta Wyborcza specifica che gli ostaggi italiani e il cittadino polacco erano tenuti «vicini, ma non insieme». Il salvataggio quindi sarebbe stato compiuto in modo differente da elementi di diversa nazionalità. Secondo il quotidiano, nel blitz per i nostri ostaggi c'erano anche ufficiali italiani, che hanno perfino avuto «uno scontro fisico con alcuni iracheni armati», anche se il giornale non precisa se costoro facevano parte del gruppo dei rapitori o meno.

Né i tre italiani rilasciati hanno potuto raccontare granché. «Al momento della liberazione ho sentito tanti rumori e uomini che gridavano: `Go, go, go', che ci facevano cenno con la testa di andare via», ha detto brevemente Umberto Cupertino. Rumori, e non spari. Pochi i particolari sfuggiti a una blindatura ferrea, che ha condotto i tre italiani dalla pista di Ciampino direttamente alla procura romana, dove sono stati interrogati dai pm Ionta, Saviotti e Amelio. I verbali degli interrogatori (condotti in modo separato e durati oltre tre ore) sono stati secretati. I reati ipotizzati sono sequestro di persona a scopo di terrorismo e l'omicidio di Fabrizio Quattrocchi. I pm hanno già annunciato che chiederanno l'estradizione di tutti i rapitori eventualmente arrestati, mentre oggi il ministro della giustizia darà il via libera alle rogatorie internazionali già presentate ma bloccate per motivi di stato. Per il resto in procura vige il massimo riserbo: «A noi risulta che la liberazione dei tre ostaggi sia avvenuta ieri. Non abbiamo indicazioni diverse», ha detto uno dei pm.

Alcuni dettagli però trapelano. Gli ostaggi avrebbero visto in volto alcuni dei rapitori, che erano molti, sicuramente più di 10. Tra di essi non c'erano italiani. «Solo uno degli iracheni parlava un italiano stentato - hanno detto i tre italiani ai magistrati - per il resto le comunicazioni avvenivano in inglese o a gesti». I tre hanno detto che si occupavano di vigilanza per una società americana che li aveva contattati attraverso un'altra società estera. Mistero fitto, quindi.

Circostanze inquietanti anche attorno all'esecuzione di Quattrocchi. Secondo gli ostasggi superstiti, i rapitori avevano assicurato che era stato liberato. E non hanno sentito «urla, spari o colpi di pistola» quando Quattrocchi è stato portato via. Perché è stato ucciso? «La cosa più probabile è che Quattrocchi sia stato identificato come qualcuno vicino alla struttura americana, in quanto aveva il tesserino rilasciato dalla Cpa, l'autorità provvisoria», ipotizza Alessandro Cevese, responsabile dell'unità di crisi della Farnesina. Un fatto che lo rendeva diverso dagli altri tre e che forse è all'origine della sua esecuzione.

Secondo altre fonti qualificate, inoltre, il denaro ha decisamente agevolato la trattativa e la successiva liberazione. Si parla del pagamento di 9 milioni di euro a due emissari iracheni. Un riscatto pagato con l'accordo che non ci sarebbe stato alcuno spargimento di sangue durante la liberazione, come poi avvenuto. Si fa strada con forza anche il nome di Salih Mutlak, un faccendiere di Baghdad che avrebbe compiuto diversi viaggi in Italia, l'uomo che dietro riscatto fece liberare alcuni giapponesi sequestrati in Iraq. E' probabilmente lui l'uomo chiave per la stretta finale.

Stabilite la cifra e le modalità della liberazione, non è chiaro se nell'eventuale accordo con Mutlak fosse stata inclusa anche una possibile data che non compromettesse le elezioni imminenti.

Del blitz quindi si sa ben poco. E se gli arresti annunciati da Berlusconi ci sono stati, chi custodisce i rapitori?


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