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PRIGIONIERI IN UN PAESE PRIGIONIERO (parte I)


...Abu Hind è un vedovo di mezz’età, arrestato in due occasioni per brevi periodi di tempo, ogni volta senza saperne la ragione. Ma mai avrebbe immaginato di poter essere arrestato semplicemente perché paralizzato ed in sedia a rotelle (da 24 anni). Fu ferito nel 1981 nella guerra Iran-Iraq. Vive con due figlie adolescenti in un villaggio situato a nord di Baghdad. La prima volta che fu arrestato tornava velocemente dal mercato con sua figlia minore. La sua casa era stata assaltata ed era circondata da jeep militari e decine di soldati. L'accusarono di aver attaccato un convoglio militare...

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PRIGIONIERI IN UN PAESE PRIGIONIERO (parte I)

Imàn Ahmad Jamàs - IraqSolidaridad

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Abu Hind


www.resistenze.org - popoli resistenti –iraq

da: www.nodo50.org/iraq - 02-06-2005
http://www.nodo50.org/iraq/2004-2005/docs/jamas_2-06-05.html


Testimonianze di detenuti iracheni nelle prigioni statunitensi in Iraq

Imàn Ahmad Jamàs - IraqSolidaridad
Baghdad, 30 maggio 2005

Basim, di prigione in prigione

Il 16 luglio del 2003, alle 10.30 del mattino, Basim Dawud Darob uscì di casa a Tadyi, che si trova vicino ad una base militare USA a nord di Baghdad, per recarsi al lavoro al mercato del popolo, quando vide davanti a sé un convoglio statunitense. Non si spaventò né si preoccupò. Continuò a camminare finché giunse davanti a loro. Gli ordinarono di sollevare la maglietta e di girarsi alzando le mani. Così fece. Gli perquisirono il corpo perfino tra le dita dei piedi. Poi gli ordinarono di sedersi. Si avvicinarono tre automobili, le perquisirono e le lasciarono andare. A Basim ammanettarono le mani e lo misero nel loro veicolo. Quando chiese perché gli facevano questo, un soldato gli disse di chiedere all'ufficiale. L'ufficiale rispose: "Stavi cercando di attaccare le torri della base militare". "Ma se sono disarmato", disse Basim. L'ufficiale non rispose più nulla.

Nel corso dei successivi 19 mesi, Basim passò attraverso molte delle prigioni statunitensi in Iraq. Ci racconta gli assurdi, i maltrattamenti e le umiliazioni che vide nelle prigioni. Fu "liberato" molte volte, ma non arrivò mai ad uscire di prigione. Passò giorni con occhi bendati, mani ammanettate, senza neanche sapere perché. Una donna soldato chiamata Tane o Tain che lo interrogava, gli disse che aveva attaccato il veicolo statunitense. Quando egli le domandò con quale arma, ella rispose che presto l’avrebbero trovata. Basim confidava tanto nella sua innocenza, che le suggerì un esame delle impronte digitali. Naturalmente il risultato fu positivo. Basim disse con sarcasmo a Tane: "… o mente il computer o menti tu". Ella diventò come pazza ed incominciò ad urlargli e Basim fu riportato in cella.

Per qualche sconosciuta ragione, fu inviato all'accampamento militare di Tikrit. Gli sanguinavano le mani per quanto strette gli avevano messo le manette; lo misero a dormire su grandi ciottoli caldi, senza cibo e senza acqua. Quando un giorno sentì che lo nominavano, comprese che finalmente stavano per liberarlo. Ma fu inviato alla prigione dell'Aeroporto [internazionale di Baghdad], Camp C, dove di nuovo avere acqua era un sogno, tanto per bere come per lavarsi, ed in luglio il termometro raggiunge i 55 gradi all'ombra. "Ma la cosa peggiore di tutte erano le guardia irachene, tanto oscene e sporche, come vecchi criminali", ricorda Basim. Allora fu inviato a Nassiriya, sulla strada per Bassora, dove fu internato a Camp Bucca per quattro mesi.

"Il cibo erano tanto cattivo che ti ammalavi soltanto ad annusarlo, senza necessità di mangiarlo. Faceva molto caldo all'interno delle tende di plastica, il sole ardente del deserto ti bruciava. Ma le tempeste di sabbia rendevano impossibile uscire. Ricevevamo due pasti al giorno, potevamo andare al bagno solo due volte al giorno. Ma eravamo 600 che dovevamo andarci nell’arco di mezz'ora. Quattro mesi più tardi, mi comunicarono che stavano per liberarmi. Ma quello stesso giorno, dichiarandosi spiacenti, m’internarono di nuovo con la scusa che non c'era un’automobile per accompagnarmi. Dissi loro che potevo arrivare a piedi fino a Baghdad [a circa 500 chilometri], ma fu inutile.

Non ci fu nessuna inchiesta a Camp Bucca, solo aspettare e sperare, e sopportare le punizioni collettive. Ma nella prigione di Abu Ghraib fu peggio. Fox e Casey erano dei miserabili".

- Chi erano?

- Una donna ed un uomo soldati. Per loro non eravamo altro che dei criminali. Il cibo era orribile, ma lo mangiavamo. In un'occasione ci portarono del pollo, non potevo credere ai miei occhi. Ma quando incominciai a mangiarlo mi resi conto che aveva i vermi. Lo mangiai ugualmente, non importava nulla. La punizione più comune era toglierti il cibo, l'acqua, e non pulire il bagno per due settimane. Era orribile. C'era un solo servizio per 600 prigionieri. Avere diarrea era un'indisposizione normale; c'erano code davanti alla porta del dottore .

Il 14 dicembre del 2003, dissero di nuovo a Basim che l’avrebbero liberato, ma non vi credette. Fu inviato di nuovo a Camp Bucca. Ebbe la prima visita della sua famiglia il 15 aprile del 2004, dieci mesi dopo essere stato arrestato. Basim non fu torturato, ma assistette personalmente alle torture di molti prigionieri. Una donna soldato orinò su un uomo religioso con la barba e lo violò. Dopodiché, egli non tornò a pronunciare nemmeno una parola, non parlò più con nessun prigioniero. La forma in cui perquisivano i detenuti era molto umiliante. Ordinavano loro di togliersi i vestiti e li facevano chinare (come se pregassero). Cercavano tra le natiche. I carcerati fecero una manifestazione per protestare contro queste perquisizioni, ed allora permisero loro di conservare le mutande ma dovevano portarle molto strette, affinché fossero evidenti gli organi sessuali.

Nel luglio del 2004 Basim ottenne un'altra liberazione, questa volta sotto garanzia. Il problema era come avvisare la famiglia. Gli diedero vestiti nuovi e gli dissero perfino di radersi per andarsene, ma dovette aspettare fino al mese di dicembre perché la documentazione fosse pronta.

- Sentisti qualche commento circa la presenza di donne prigioniere?

- Le vidi. Una era molto anziana. Era stata arrestata perché volevano prendere suo figlio, che era un ufficiale militare. Piangeva tutto il tempo. Organizzammo una manifestazione per lei e ci promisero di liberarla. Ma quando ci portarono alla prigione dell'aeroporto, la vedemmo lì. C'erano quindici donne. Le vedemmo mentre le stavano portando via per interrogarle. I loro carcerieri erano uomini, ma per gli uomini prigionieri, mettevano donne carceriere a guardia, penso che lo facessero in modo deliberato. Sanno che siamo una società conservatrice; molte donne soldato abusano sessualmente od umiliano i prigionieri, per esempio, mettendo loro lo scarpone sulla testa.

- Di che cosa ti accusarono?

- Di aver attaccato un convoglio militare, ma per loro, accusare qualcuno di aver fatto qualcosa, non era una cosa seria. Molti prigionieri non avevano alcuna accusa a loro carico; se presentavi un appello non avevi capi d’accusa da contestare. Ho visto molti casi del genere.

- Come ti senti, dopo avere passato 19 mesi in prigione senza aver fatto niente?

- Non saprei cosa dire, non posso esprimere altro che amarezza. Molte cose sono cambiate. Ci sono molte prigioni nuove, piene di gente innocente. Dicono che in totale ci sono da 9.000 a 10.000 carcerati nelle prigioni. Posso assicurarvi che ce ne sono tra i 90.000 ed i 100.000.

- Non hai paura?

- No, sono innocente.


Huda al-Azawi, vittima di un ricatto

Huda, di 43 anni, è attualmente in carcere per la terza volta. La sua storia è nota, non solo all’interno dell'Iraq. È una grande tragedia di tutt’una famiglia. Il fratello di Huda, Iyad, morì torturato nella base militare statunitense di Adamiya [a Baghdad] nel dicembre del 2003. Il suo corpo fu trovato tre mesi dopo nell'obitorio di Baghdad tra i cadaveri senza identificazione. Sua sorella Nahla fu arrestata con lei nel dicembre del 2003 e rimase in carcere per otto mesi. Suo fratello Ali è da anno e mezzo a Camp Bucca. Suo nipote, Muhammad, è stato arrestato ora con lei, e si trova ad Abu Ghraib. Un altro fratello, Mo'taz, fu liberato dopo aver passato 15 mesi a Camp Bucca.

Il suo problema è che loro sono una famiglia benestante. Rifiutarono di essere ricattati. Huda è una donna d’affari. È appaltatrice. Secondo sua figlia Farah, di 23 anni, un collaborazionista le chiese di pagargli 20.000 dollari; ella rifiutò e per questo egli fornì cattive informazioni su di lei agli statunitensi e fu arrestata nel dicembre del 2003. Dopo otto mesi passati ad Abu Ghraib, fra torture, maltrattamenti e botte, quando fu liberata il suo braccio destro era rotto. Il generale statunitense le chiese scusa, dicendosi dispiaciuto, che il suo fascicolo era pulito, che le inchieste avevano provato la sua innocenza dall'accusa di finanziare la resistenza e che era stata vittima di calunnie.

"Era un'altra donna quando fu liberata nel luglio dello scorso anno", dice Farah. Il 17 febbraio del 2005, alle ore 02:30 della notte, la sua casa fu assaltata dalla guardia nazionale irachena insieme alle truppe statunitensi. Li attaccarono con bombe sonore, gas lacrimogeni, rompendo porte, finestre e mobili. Confiscarono loro tutti i documenti personali e professionali, i computer, il denaro, la gioielleria e l'automobile. Le sedie erano ancora coperte dai pezzi di vetro quando visitammo la loro casa. La figlia più giovane, Nur, di 14 anni, era stata schiaffeggiata numerose volte da uno della guardia nazionale irachena, perché piangeva quando cercarono di separarla da sua sorella Farah. Le insultarono in modo assolutamente disgustoso.

"Ma tutto questo non è il problema", insiste Farah, "Il problema è che mia madre era malata quando fu arrestata in febbraio, le avevano fatto un'operazione ad un'ascella ed ancora non le avevano tolto i punti di sutura. Le legarono le braccia dietro la schiena molto strettamente, lei piangeva e le legarono anche i piedi e la incappucciarono. Non presero le medicine di cui necessitava." Farah prosegue:

"Dopo l'arresto, la cercai dappertutto. Non avevo nemmeno idea di dove potesse essere, finché mio cugino, arrestato la stessa notte, fu trasferito dall'aeroporto ad Abu Ghraib e lo andammo a visitare. Lui ci disse che l'avevano confinata in isolamento nell'aeroporto."

Quando andammo nella casa di Huda ad intervistare Farah, il Comitato Internazionale della Croce Rossa chiamò da Amman per informare che sua madre aveva inviato la prima lettera da quando era stata arrestata due mesi prima. C'era un profondo sentimento di rassegnazione in lei. Huda diceva che quello doveva essere il suo destino. Chiedeva alle sorelle che avessero cura di sé e fossero coraggiose, che cercassero di aiutarla. Era molto stanca e non si sentiva bene, ma che non aveva bisogno di vestiti o alimenti, che si trovava nell'aeroporto e che le avevano assegnato lo stesso numero del suo primo arresto.

- Come fu arrestata la prima volta nel 2003?

- Lei stessa andò alla base statunitense. Dopo che i soldati USA erano venuti molte volte a casa nostra per fare domande, decise di andare e parlare col comandante statunitense in persona. Lì l’arrestarono e non la liberarono che dopo otto mesi, psicologicamente distrutta. Non sapemmo nulla di lei che sei mesi più tardi.

L'avvocato di Huda ci consigliò di non parlare davanti alle figlie delle torture che aveva sofferto ad Abu Ghraib, perché Farah e Nur non sapevano niente dell’argomento. C'erano 14 donne con lei, con mani e gambe legate, incappucciate, e confinate in minuscole celle. Ordinarono loro che si incaricassero della pulizia. Ma per Huda l'esperienza più dura in prigione fu quando le lanciarono addosso il cadavere del fratello. Era nudo e coperto di ematomi.

Abu Hind, un sospetto

Abu Hind è un vedovo di mezz’età, arrestato in due occasioni per brevi periodi di tempo, ogni volta senza saperne la ragione. Ma mai avrebbe immaginato di poter essere arrestato semplicemente perché paralizzato ed in sedia a rotelle (da 24 anni). Fu ferito nel 1981 nella guerra Iran-Iraq. Vive con due figlie adolescenti in un villaggio situato a nord di Baghdad.

La prima volta che fu arrestato tornava velocemente dal mercato con sua figlia minore. La sua casa era stata assaltata ed era circondata da jeep militari e decine di soldati. L'accusarono di aver attaccato un convoglio militare. Fu liberato dopo tre giorni perché la sua salute si deteriorò; soffre anche di problemi ai rene e di piaghe.

La seconda volta ebbe luogo dopo un mese. Fu arrestato nella Zona Verde, ed in quell’occasione fu picchiato e torturato. Lo interrogarono circa le armi che avevano ritrovato vicino al fiume. Lo presero a calci in faccia lacerandogli la bocca e facendolo sanguinare. Benché fosse inverno, gli lanciarono acqua gelata sul corpo nudo. Dopo sei giorni di tortura ebbe un collasso. Quando lo liberarono era morente. Lo scaricarono in una stazione di automobili.

- Perché credi che vennero da te?

- Credo per il mio aspetto, sapete già quello che pensano quando ti vedono con la barba. Dicevano quello. Mi chiedevano dei terroristi. Dissi loro che da quando fui ferito in guerra, era molto complicato per me andare ben vestito. Arrestarono molta gente con me, ma mi liberarono vedendo che stavo morendo. Quello che non capisco è perché assaltino le case con tanta violenza. Non hanno bisogno di farlo in quel modo. Mi puntarono addosso le armi, e sono solo un invalido, non posso nemmeno vestirmi da solo…


Tradotto da Adelina Bottero e Luciano Salza




:: Articolo n. 13244 postato il 01-jul-2005 04:26 ECT

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