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Gli inconcepibili crimini di guerra


Il presidente Bush è colpevole di crimini di guerra? Anche solo porre questa domanda significa oltrepassare di molto i confini dei media mainstream americani. Qualche settimana fa, quando alla Parsippany High School, nel New Jersey, una classe dell’ultimo anno inscenò la simulazione di un processo per stabilire se Bush fosse colpevole o meno di crimini di guerra, ecco scoppiare una tempesta mediatica. Esemplare la risposta di Tucker Carlson, ospite della MSNBC, per il quale la sola idea di accusare Bush era semplicemente inimmaginabile. La scenetta messa in piedi da quegli studenti "implica che la gente stia accusando il Presidente di crimini contro l’umanità" ha detto Carlson. "E questo è ridicolo"...


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Gli inconcepibili crimini di guerra

Norman Solomon (Common Dreams)

Traduzione italiana Nuovi Mondi Media

14 aprile 2005

Nel mondo dei mezzi d'informazione Usa, quando si tratta di crimini di guerra, è il Presidente a puntare il dito verso qualcun altro. Il fatto che possa essere lui a fronteggiare la medesima accusa è giudicato un ossimoro

Il presidente Bush è colpevole di crimini di guerra? Anche solo porre questa domanda significa oltrepassare di molto i confini dei media mainstream americani.

Qualche settimana fa, quando alla Parsippany High School, nel New Jersey, una classe dell’ultimo anno inscenò la simulazione di un processo per stabilire se Bush fosse colpevole o meno di crimini di guerra, ecco scoppiare una tempesta mediatica. Esemplare la risposta di Tucker Carlson, ospite della MSNBC, per il quale la sola idea di accusare Bush era semplicemente inimmaginabile. La scenetta messa in piedi da quegli studenti "implica che la gente stia accusando il Presidente di crimini contro l’umanità" ha detto Carlson. "E questo è ridicolo".

Nel Tennessee, il quotidiano Chattanooga Times, 'free press', ha tuonato in un editoriale: "Se dei cosiddetti 'educatori’ americani hanno permesso ad alcuni studenti di 'processare’ il nostro Presidente per 'crimini di guerra’ mentre siamo in guerra, ciò significa che i nostri problemi non riguardano soltanto i terroristi esterni al paese".

L’approccio standard dei media di associare Bush ai crimini di guerra si è potuto leggere tra le righe della breve introduzione al notiziario della CNN American Morning: "La Corte Suprema sta prendendo in considerazione un caso epocale, che potrebbe avere implicazioni di vasta portata. In discussione sono i poteri del presidente Bush di creare tribunali di guerra per i prigionieri di Guantanamo".

Nella terra dei media, quando si tratta di crimini di guerra, è il presidente degli Stati Uniti che punta il dito verso qualcun altro. Ogni cenno al fatto che possa essere Bush a fronteggiare tale accusa è visto come un ossimoro. Tuttavia ci sono alcuni giornalisti, al di fuori del circuito aziendale dei media, che stanno dimostrando seriamente la colpevolezza di Bush per quanto riguarda i crimini di guerra. Uno di loro è Robert Parry.

Durante gli anni ’80, Parry si occupava della politica estera statunitense per l’Associated Press and Newsweek; in questo periodo portò alla ribalta diverse vicende riguardanti lo scandalo Iran-Contra. Da dieci anni è l’editore del sito Consortiumnews.com, un outlet da lui fondato che è di scarsa utilità nell’impervio sentiero giornalistico che porta a Pennsylvania Avenue [dove si trova la Casa Bianca].

"In un mondo dove il più forte non è necessariamente il più giusto" ha scritto Parry in un recente articolo, "George W. Bush, Tony Blair e i loro sostenitori sarebbero stati trascinati in catene di fronte al Tribunale per i crimini di guerra dell’Aja, piuttosto che starsene comodamente seduti alla Casa Bianca, al 10 di Downing Street o in qualche altro bel posto a Washington e a Londra".

Esagerazione? Non credo. In realtà le analisi e le affermazioni di Parry sembrano molto più convincenti – e pertinenti alla nostra situazione reale – che ogni altra impensabile affermazione di quegli innumerevoli sapientoni liberali, che non vanno oltre il lamentarsi degli inganni di Bush, dei suoi errori di giudizio e di tattica a proposito della guerra in Iraq.

II Congresso è pronto a prendere in considerazione la possibilità che il comandante in capo abbia commesso crimini di guerra negli ultimi anni? Ovviamente no. Ma il ruolo dei giornalisti non dovrebbe essere quello di aderire pedissequamente ai confini mentali del Campidoglio. Abbiamo bisogno che i media abbraccino la verità, non che si attacchino vigliaccamente ai limiti della propria convenienza.

Quando gli alti ufficiali dell’amministrazione Lyndon Johnson affermarono che il Vietnam del Nord aveva lanciato due attacchi non provocati sulle navi statunitensi nel golfo del Tonchino, la stampa li prese in parola. Quando gli alti ufficiali dell’amministrazione Bush dichiararono che l’Iraq possedeva armi di distruzione di massa, la stampa li prese di nuovo in parola.

Non abbiamo visto nessuno che faccia parte della stampa di Washington sollevare la questione dei crimini di guerra da parte del presidente. Poche persone si azzardano a sondare il terreno che Parry ha esplorato con il suo articolo del 28 marzo, "Time to Talk War Crimes".

Questo articolo cita una dichiarazione chiave del rappresentante degli Stati Uniti al Processo di Norimberga, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. "La nostra posizione," dichiarò Robert Jackson, membro della Corte Suprema di Giustizia degli Stati Uniti, "è che, qualunque ingiustizia possa compiersi in una nazione, per quanto ripugnante possa esserne lo status quo, la guerra di aggressione è un mezzo illegale per eliminare quelle ingiustizie o per cambiare quelle condizioni".

Nell’intervista il 26 marzo, durante il programma della NBC "Meet the Press", la Segretaria di Stato Condoleezza Rice ha tentato di giustificare l’attacco all’Iraq in questo modo: "Ci siamo scontrati con il risultato di un’ideologia dell’odio che attraversava il Medio Oriente e che doveva essere risolta. Saddam Hussein faceva parte del vecchio Medio Oriente. Il nuovo Iraq farà parte del nuovo Medio Oriente e noi saremo tutti più al sicuro".

Ma, in un articolo del 3 aprile, Parry sottolinea che "questa dottrina – che permette all’amministrazione Bush l’invasione di altre nazioni per ragioni vaghe quanto l’ingegneria sociale – rappresenta un ripudio dei Principi di Norimberga e del divieto contenuto nella Carta delle Nazioni Unite circa la guerra di aggressione, entrambi formulati da leader americani sessanta anni fa".

Parry colpisce al cuore delle manovre dell’amministrazione: "Gradualmente, la Rice e gli altri superiori che hanno aiutato Bush stanno cambiando direzione spostandosi dalle armi di distruzione di massa di Saddam ad una giustificazione strategica –ovvero, la trasformazione politica del Medio Oriente". Infine, conclude: "La non-copertura, da parte dei media, della nuova giustificazione della Rice ha un significato preciso: ovvero, non c’è nulla di biasimevole o di allarmante nel fatto che l’amministrazione Bush abbia voltato le spalle a quei principi di comportamento civile promulgati dai leader americani durante il processo di Norimberga, sessanta anni fa.

Sebbene sia ormai acclarato che Bush abbia portato contro l’Iraq una guerra d’aggressione, i media mainstream non si schiodano dal già citato assioma: quando si tratta di crimini di guerra, il presidente è assai indicato per il ruolo di accusatore, e mai per quello di imputato.

 

 

Di Norman Solomon Nuovi Mondi Media ha pubblicato'MediaWar. Dal Vietnam all'Iraq, le macchinazioni della politica e dei media per promuovere la guerra'.


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