Anzittutto va notato il titolo dell’iniziativa. Differentemente da precedenti tribunali a cui si dice di rifarsi, nel titolo non si specifica l’oggetto, se non "Iraq", comprensivo di tutto e del contrario di tutto. Ricordiamoci che il tribunale dell’International Action Center si intitolava "sui crimini di guerra contro la Jugoslavia" e quindi non dava adito a dubbi circa l’oggetto del procedere. Analogamente il Tribunale Russell denunciava, seppure in maniera politicamente più vaga, i crimini di guerra statunitensi in Vietnam. Un titolo come quello adottato fa sospettare che si vogliano processare sullo stesso piano i crimini degli invasori-occupanti e "i crimini" dei precedenti governi iracheni, appiattendosi in tal modo sui meccanismi e contenuti di propaganda e diffamazione messi in atto dall’imperialismo e dai suoi media. Come quando qualcuno che conosciamo scrive di "contropulizia etnica in Kosovo", o qualche Remondino si riferisce al "despota" Milosevic.
Si specifica nel sottotitolo che il "World Tribunal on Iraq" (dei cui referenti e responsabili internazionali nulla ci viene detto), intende organizzare una "Sessione sul ruolo e la responsabilità dell’informazione durante la guerra e l’occupazione in Iraq". E’ auspicabile che si dia un ulteriore, competente, informato e professionale contributo allo smascheramento della campagna di menzogne che hanno portato all’aggressione e che la stanno accompagnando. Resterebbe però esercizio vano qualora non si andasse oltre la denuncia delle menzogne e dei silenzi e si evidenziassero le responsabilità e gli obiettivi di sistema che producono disinformazione. Quando si dice che il "dovere delle fonti di raccontare la verità è in obbligo morale, etico e una responsabilità civile, ci si astrae dalla valutazione fondamentale che è politica. Insomma, non ci sono editori disonesti e giornalisti bugiardi, c’è un sistema politico-economico-sociale capitalista ed imperialista che fisiologicamente produce un’informazione distorta per salvaguardare i propri interessi e giustificare i propri crimini.
La piattaforma diffusa afferma: "La nostra aspirazione non è quella di destabilizzare, attraverso una condanna fine a se stessa, il sistema dell’informazione, ma stimolare nei cittadini il proprio diritto alla verità…"
Chiunque si sia occupato del sistema dell’informazione ha ben chiara la necessità proprio di destabilizzare tale sistema attraverso la lotta primaria contro l’assetto politico-sociale-economico-culturale, cioè di potere, che lo produce e gestisce. Altrimenti ci si limita alla autoassolutoria scrittura di "lettere al direttore", di cui conosciamo l’esito, la selezione e il peso.
Si parla di creare una rete di collaborazione tra "coloro che condividano i valori della pace, del rispetto della vita umana, della tutela dell’identità culturale dei popoli…" Noi crediamo che sia fondamentale e prioritario che si esalti il valore della resistenza dei popoli e delle classi contro occupanti, oppressori e sfruttatori, il che comporta la necessità primaria di imporre l’ascolto e la valorizzazione delle voci di questi popoli, di queste classi, di questi governi, aprioristicamente inascoltate, o definite false o ridicole.
Ritengo opportuno, insieme a molti altri che hanno ricevuto questo appello, che gli iniziatori del "Tribunale" chiariscano alcuni elementi imprescindibili, come posti sopra, e, in particolare, se il processo al "ruolo e alla responsabilità dell’informazione di guerra" si debba correttamente intendere come processo al sistema criminale di aggressione, guerra preventiva e permanente e al suo corollario del controllo assoluto e totale dell’informazione da parte di un potere imperialista e fascistizzante. Se questo comporti anche l’esame e la condanna delle campagne di diffamazione nei confronti di governi e popoli da aggredire, liquidare e assoggettare.
Alla luce di quanto sopra, suscitano interrogativi e perplessità, quanto meno in uno schieramento coerentemente antimperialista, la presenza della Fondazione Basso, di molte organizzazioni intimamente legate alla Tavola della Pace e a un’impostazione che non scioglie assolutamente i nodi delle mistificazioni imperialiste, dal "terrorismo", alla "resistenza armata", alle satanizzazioni degli oppositori (Pax Christi, Peacelink, Lilliput, Donne in Nero, Legambiente).
Degli accademici e dei giornalisti elencati come aderenti, non trovo in verità nomi che si siano distinti nella denuncia e nella mobilitazione dei crimini, di informazione o di guerra, contro i palestinesi, gli jugoslavi, gli iracheni, i cubani. Anzi, vi appaiono persone dalla professionalità del tutto dubbia e dalle attività da definire al meglio ambigue, come Roberto Di Nunzio, fondatore e direttore di un’organizzazione virtualmente inesistente, denominata "Reporter Associati", noto falsario ripetutamente smascherato, virulento ripetitore delle peggiori invenzioni propagandistiche sioniste-statunitensi. Molti altri nominativi appartengono a tutto fuorché a uno schieramento che si sia battuto per un’informazione autenticamente libera e si trovano comodamente inseriti in strutture aziendali che appartengono a pieno titolo al più pervicace sistema di informazione velinara, bugiarda e selettiva. Chissà perché manca Mentana. Discorso del tutto analogo vale per gli esponenti politici, rappresentanti de "La Margherita" (partito accanito diffamatore di Hugo Chavez e dei palestinesi, disponibile alle guerre e occupazioni imperialiste), di "Verdi-Ulivo" (idem), Rete dei Movimenti (?), Movimento non Violento.
Tutto sommato, le premesse politiche del testo e la maggioranza delle adesioni non mi sembrano garantire per niente un’iniziativa nel senso auspicabile da chi pone al primo posto l’attenzione alla voce del "nemico", la solidarietà con il suo diritto alla resistenza, la lotta contro un’informazione che rispecchia rigorosamente il dettato dei poteri politico-economici che la controllano. Dichiarare illegale la guerra e, di conseguenza, la relativa informazione padronale e subalterna, non è oggi il massimo, l’ha fatto anche Kofi Annan, noto notaio dell’impero. Insomma, il rischio è che da questa impresa "buonista" si esca fuori con una tardiva condanna dei presupposti ideologici ed economici della politica estera statunitense, attraverso l’analisi del Project for a New American Century e della dottrina della guerra preventiva, pronti a schierarsi con Kerry e con la continuità di un’espansionismo imperialista e terrorista statunitense-sionista che si presenti con fragranze di "multilateralismo".
Infine, risulta curioso che tra le adesioni e le sollecitazioni ad aderire non figurino in minima parte coloro che in questo paese da anni si battono, pagandone prezzi pesanti e affrontando sabotaggi, boicottaggi, calunnie e difficoltà di ogni genere, per un’informazione alternativa, di contrasto, di verità, di impegno, quali radio libere, televisioni private, siti web, liste email, organi di stampa, mezzi audiovisivi, singoli giornalisti. Quale la spiegazione? Temiamo la risposta.
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