La vincitrice del Sydney Peace Prize, la scrittrice indiana Arundhati Roy, nel suo discorso di accettazione del premio ieri sera a Sydney ha chiamato "criminali di guerra" l'appena rieletto presidente americano George W Bush ed il premier britannico Tony Blair. Arundhati Roy ha inoltre esortato gli iracheni alla resistenza non violenta contro gli invasori.
Il prestigioso premio per la pace è stato assegnato quest'anno all'autrice de "Il dio delle piccole cose" (con cui ha ottenuto il Booker Prize) in riconoscimento delle sue campagne per i diritti umani e della sua filosofia di non violenza. Come avvenuto con la vincitrice dello scorso anno, l'esponente politica palestinese Hanan Ashrawi, la scelta di Roy è stata attaccata dagli ambienti conservatori.
Nel suo intervento la scrittrice ha dichiarato che il recentemente rieletto premier australiano John Howard "ha trascinato l'Australia nell'invasione ed occupazione illegali" dell'Iraq, in quella che ha chiamato "una delle guerre più vigliacche mai combattute". "È stata una guerra in cui una banda di nazioni ricche, armate con abbastanza armi nucleari da distruggere il mondo numerose volte, si sono scagliate contro una nazione povera, l'hanno accusata falsamente di avere armi di sterminio, hanno usato le Nazioni unite per costringerla a disarmarsi, poi l'hanno invasa, occupata e ora sono impegnati a rivenderla".
Ha aggiunto che la "vendita all'asta dell'Iraq ha causato una ressa alla mangiatoia", con in prima fila corporation come Bechtel e Halliburton, la compagnia già guidata dal vice presidente americano Dick Cheney.
"Ai visitatori che chiedono un visto per l'Australia viene chiesto nei moduli se hanno mai commesso crimini di guerra o contro l'umanità", ha dichiarato Roy. "C'è da chiedersi se Bush e Blair otterrebbero il visto. Secondo i principi del diritto internazionale si qualificano certamente come criminali di guerra. Ma la tragedia è che i loro rivali politici non sono realmente in disaccordo con loro", ha aggiunto.
Oggi l'autrice ha difeso il suo appello agli iracheni ad unirsi alla resistenza, precisando che ciò non significa impegnarsi in atti di violenza contro le forze di coalizione. "La mia esortazione è a diventare la resistenza, ad esser parte di una resistenza non violenta contro un'occupazione molto violenta", ha dichiarato in un'intervista radio, sottolineando che il termine "resistenza" va ridefinito. "Non possiamo presumere che resistenza significhi terrorismo, altrimenti faremmo proprio il gioco degli invasori".

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