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Il “modello afgano” ed il massacro di Faluya


...Quel modello afgano è anche la scommessa di Washington per l’Iraq. I passi necessari per il suo trionfo sono conosciuti: in primo luogo, si organizza l’eliminazione e l’assassinio di ogni opposizione di sinistra e dei settori patriottici che combattono l’occupazione, imponendo il terrore sulla popolazione civile e, se è necessario, la distruzione parziale delle città; dopo, incomincia a stabilirsi un governo fantoccio, e, finalmente, dopo un periodo di transizione che consolidi i suoi protetti, si procede all’organizzazione di alcune elezioni fraudolente che legalizzino davanti all’opinione pubblico mondiale e davanti agli organismi internazionali la nuova situazione, e che permetta al nuovo regime di ricevere l’appoggio delle istituzioni internazionali e dei governi più rilevanti...

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Il “modello afgano” ed il massacro di Faluya

Higinio Polo, www.resistenze.org - popoli resistenti

da Rebelion - http://www.rebelion.org/noticia.php?id=7634


16 novembre 2004 - Pochi giorni dopo la celebrazione della vittoria dell’estrema destra che governa a Washington, cominciava la sanguinosa operazione contro Faluya, preparata in anticipo negli uffici del Pentagono. La pressione dei settori più conservatori degli Stati Uniti e dei suoi complici nel mondo, che sostengono che Bush ha vinto e per questo ha ragione, si è materializzato nel massacro di Faluya. La vittoria elettorale di Bush è stata limitata, ma sufficiete per i suoi fini.

Dobbiamo ricordare che quasi la metà dei cittadini statunitensi si sono astenuti dal votare e che un quarto lo ha fatto per l’altro candidato, Bush è stato appoggiato da poco più del 25 percento del totale degli elettori nordamericani. Quella parte del popolo americano che si inorridì con gli attentati delle Torri Gemelle e che condivide la visione imperialista e religiosa del presidente nordamericano, non si commuove ora per il massacro di Faluya né per i bombardamenti su popolazioni civili, perché ritiene che i suoi soldati stinno combattendo contro terroristi, come ripetono con insistenza i suoi media.

Ora, ostentando la sua vittoria, come se il mondo ignorasse che l’avallo dei suffragi popolari non giustifica mai il crimine, ed ignorando i cento mila morti che l’invasione statunitense ha già causato in Iraq, i becchini che accompagnano Bush cercano di imporre rapidamente l’applicazione del modello afgano per l’Iraq. Bush ha offerto ai suoi compatrioti, alla sua inclinazione personale, al mondo, la fantasia di un potere forte che si farà rispettare nel pianeta, che imporrà la fede e la sicurezza di una nazione cristiana e che crede di avere nelle sue mani il destino dell’umanità, e quel discorso, nel desolato inizio del secolo XXI, con la crisi della sua egemonia, era quello che anelavano molti nordamericani. Appoggiando Bush, hanno sanzionato la continuazione di una politica imperiale che continua a seminare la desolazione. Perché non c’è dubbio che, impantanati in Iraq, dove la resistenza è riuscita a distruggere lo schema elaborato preventivamente negli uffici del Pentagono, Washington non sta lottando contro il terrorismo ma cerca di finire col ferro e col fuoco la resistenza irachena ed imporre il modello afgano.

Non è semplice, nonostante presentino l’Afghanistan come la prova del loro sforzo e della loro politica: tre anni dopo l’invasione dell’Afghanistan, la normalità in quel paese continua ad essere una chimera. Tuttavia, Washington ha ottenuto alcuni dei suoi obiettivi: il controllo militare e strategico dell’Afghanistan, e l’imposizione di un regime clientelare, con la rassegnata accettazione delle più importanti potenze mondiali, da Francia e Germania, fino a Cina e Russia, passando per lo stesso Iran degli ayatollah. Per i propositi nordamericani, non importa che la vergognosa vittoria del dittatore imposto Karzai, sia stata ottenuta in un paese occupato militarmente, dove le opzioni di sinistra non possono neppure presentarsi alle elezioni, e devono agire nella più rigorosa clandestinità, dove il minore sospetto di opposizione implica la morte.

Karzai ed i signori della guerra hanno nelle loro mani tutti i meccanismi del potere. Tutti i parametri democratici sono stati violati in quella mascherata infame che sono state le elezioni di cui si inorgogliscono Kabul e Washington.
Ma quella vittoria vergognosa di Karzai, forzata dalla paura e dalla disperazione, è stata accettata dall’ ONU e dagli organismi europei che scommettono su quello che considerano un male minore, credendo che il potere vicario di Karzai pacificherà il paese ed aprirà una tappa di normalizzazione che, nel futuro, permetterà la ricostruzione economica. È un miraggio, ma il circostanziale trionfo del progetto nordamericano per l’Afghanistan fortifica le tesi dei settori più duri del Pentagono e del governo nordamericano per la ristrutturazione strategica di Medio Oriente ed Asia centrale. Perché non si deve dimenticare, inoltre, che nei tavoli dello Stato Maggiore nordamericano attendono i piani preparati per Iran, Siriana e Palestina; alcuni ancora imprecisi, dipendenti dall’evoluzione degli avvenimenti, come la questione palestinese, dipendenti dal ricatto del governo israeliano di Ariel Sharon.

Quel modello afgano è anche la scommessa di Washington per l’Iraq. I passi necessari per il suo trionfo sono conosciuti: in primo luogo, si organizza l’eliminazione e l’assassinio di ogni opposizione di sinistra e dei settori patriottici che combattono l’occupazione, imponendo il terrore sulla popolazione civile e, se è necessario, la distruzione parziale delle città; dopo, incomincia a stabilirsi un governo fantoccio, e, finalmente, dopo un periodo di transizione che consolidi i suoi protetti, si procede all’organizzazione di alcune elezioni fraudolente che legalizzino davanti all’opinione pubblico mondiale e davanti agli organismi internazionali la nuova situazione, e che permetta al nuovo regime di ricevere l’appoggio delle istituzioni internazionali e dei governi più rilevanti.

I preparativi per l’Iraq seguono il loro corso. Mentre Bush continua bombardando Faluya, Mosul ed altre città irachene, si sta organizzando la Conferenza Internazionale sull’Iraq che si celebrerà a Sharm el-Sheikh, in Egitto, il 22 e 23 di novembre. Washington ha ottenuto che assistano molti governi che criticarono l’invasione dell’Iraq, e l’obiettivo della diplomazia statunitense è strappare compromessi per stabilizzare la situazione e, come affermano i suoi portavoci, iniziare la ricostruzione del paese. Nella pianificazione di Washington, si intende strappare contributi finanziarie, invio di soldati "per proteggere le elezioni e la democrazia", e l'approvazione a posteriori per l’ONU dalla guerra preventiva lanciata contro l’Iraq. Oltre all’accettazione rassegnata delle più importanti potenze mondiali del dominio nordamericano sull'Iraq, dello stabilimento definitivo di basi militari, ed il riconoscimento del regime tutelato che sorga da quelle elezioni false che preparano per il prossimo gennaio.

È evidente che i giornalieri bombardamenti sulle inermi città irachene non sembrano la strada più adeguata per ricostruire, ma questo non importa alla Casa Bianca. Non importava neanche in Afghanistan. Tre anni dopo l’invasione dell’Afghanistan, il popolo continua a vivere in un sinistro medioevo, le sue città sono montagne di rottami dove i cittadini afgani devono vivere in buchi immondi, e la feroce repressione, iniziata dopo la caduta dell’ultimo governo progressista, continuata dai signori della guerra alleati di Washington, dopo i talibán, e ora dagli stessi signori della guerra che entrarono in Kabul con Karzai, non e finita. Non è tanto virulenta come nel passato per una semplice ragione: la maggioranza dei settori di sinistra, incominciando dai comunisti afgani, sono già stati sterminati. Il Pentagono ed il Dipartimento di Stato nordamericani, a parte piccole differenze di sfumatura, pretendono di ottenere qualcosa di simile in Iraq: per quel motivo bombardano Faluya.

Washington offre la democrazia (..) i crimini contro l’umanità di cui le sue truppe sono protagoniste a Faluya o a Baghdad, a Samarra o a Mosul, è un avviso per naviganti: tanto per i popoli della zona, quanto per quelli latinoamericani che vadano troppo lontano nella loro sfida al governo nordamericano: si ricordi Panama, dove i bombardamenti sulla popolazione civile causarono migliaia di morti… Ora, gli Stati Uniti hanno ostacolato la Croce Rossa, perfino la consegna di alimenti e di medicine a Faluya per i cittadini affamati. E mentre i cadaveri si ammucchiano nelle strade, e i suoi soldati addestrati per ammazzare, sono capaci di calpestare le vittime, la resistenza irachena, in una lotta impari, con un precario armamento contro l’orgia dell’armamentario nordamericano, è riuscita a fermare nuove aggressioni. Non c'è dubbio: l’applicazione del modello afgano esige l’annichilimento di tutti i settori di opposizione al governo fantoccio e alle truppe di occupazione.

In Palestina, dove cercheranno di ripetere lo schema afgano, in un scenario più complesso per il suo carico storico, è l’esercito israeliano che sta svolgendo il ruolo di angelo sterminatore della resistenza, con assassini quasi giornalieri ed anche col bombardamento di popolazioni civili, in un calcolato gioco che sarà accettato o dimenticato, nella farragine giornaliera di catastrofi, tanto dall’opinione pubblica internazionale quanto dai principali attori politici. Da parte sua, Washington, che ha i suoi uomini tra le forze palestinesi, cercherà di dirigere la transizione dopo la morte di Arafat attraverso un miscuglio di minacce e promesse, come successe ad Oslo, giocando la carta dell’ansia di pace e libertà della popolazione palestinese, disperata per una lunga occupazione che non finisce, con l’obiettivo di creare un Stato palestinese rarefatto e diretto da persone vicine a Washington: contano perciò sull’ambizione di alcuni dirigenti palestinesi, con la vertigine del tradimento e col pericoloso realismo di altri che credono che la nuova Palestina sarà solo possibile sotto la protezione di Washington.

Nella ricomposizione strategica del Medio Oriente, quasi annichilita la resistenza in Afghanistan-che non ha niente a che vedere con le sporadiche azioni dei talibán - e paralizzate nei tavoli del Pentagono le operazioni contro Iran e Siria-, mentre il focolaio di crisi della penisola coreana acquisisce una dimensione maggiore, la priorità per Washington è imporre quel modello afgano di transizione in Iraq. Per quel motivo muore Faluya. Dopo il massacro di Faluya, c’è il modello afgano ed è chiaro che la ferocia militare nordamericana non pensa di trattenersi davanti a nessun ostacolo: se alcuni tormentati cittadini dubitavano delle intenzioni di Washington, le decine di migliaia di morti che i suoi soldati hanno già causato nel paese dovrebbero aprirgli gli occhi.

Mentre il mondo assiste al massacro, mentre la resistenza cerca di evitare quel modello afgano preparato per gli iracheni, Bush canta vittoria sui cadaveri abbandonati di Faluya, sulle rovine della città schiacciata senza pietà dai suoi bombardieri. Né lui, né i suoi generali lo sanno ancora, ma la strada verso la sconfitta è lastricata di vittorie.

traduzione dallo spagnolo di FR


:: Articolo n. 7448 postato il 21-nov-2004 02:56 ECT

www.uruknet.info?p=7448

Link: www.resistenze.org/sito/te/po/ir/poir4m17.htm



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