da Counter Punch
20 novembre 20034 - Non vi è alcun dubbio che gli Stati Uniti possano riconquistare Falluja, anche a costo di distruggere gran parte della città. Ma è difficile che ciò possa avere un qualche effetto sulla guerriglia. È probabile, invece, che la riconquista di Falluja risulti tanto insoddisfacente nel porre fine alla resistenza, quanto lo è stata la cattura di Saddam Hussein o il passaggio a un governo iracheno ad interim. Ciascuno di questi eventi era stato descritto come un successo che avrebbe segnato un punto a favore degli Usa. Invece, i combattimenti si sono fatti più sanguinosi e diffusi.
Le bellicose dichiarazioni che giungono dai marines statunitensi non lasciano presagire nulla di buono per Falluja. Carlton W. Kent, sergente maggiore arruolato nell'esercito in Iraq, ha dichiarato alle truppe che questa battaglia non sarebbe stata diversa da Iwo Jima e, con un'analogia poco gradita al Pentagono, ha ricordato l'offensiva del Tet del 1968, in Vietnam, aggiungendo: "Siamo davanti a una seconda Hue".
Gli elettori americani che sono andati al voto la scorsa settimana sembrano non essersi mai resi conto delle dimensioni del fallimento militare statunitense in Iraq. Il controllo della ribellione di Falluja, a mezz'ora di strada da Bagdad, ne è stato il smbolo più evidente. È come se, a Londra, un governo britannico fosse stato costretto ad assistere per sei mesi all'occupazione di Reading da parte di una forza nemica.
Durante l'insurrezione sunnita dello scorso aprile, l'armata statunitense ha ceduto il controllo di gran parte dell'Iraq occidentale. L' incapacità riprendersi pienamente da questa sconfitta mette in risalto quanto gli Stati Uniti, come potenza militare, si siano dimostrati ancora più deboli di quanto il resto del mondo potesse immaginare, prima dell'invasione dell'Iraq dell'anno scorso.
Non vi è alcun dubbio che gli Stati Uniti possano riconquistare Falluja, anche a costo di distruggere gran parte della città. Ma è difficile che ciò possa avere un qualche effetto sulla guerriglia che continua a espandersi nel centro e nel nord dell'Iraq. Non è ancora chiaro fino a quando i ribelli resisteranno nei combattimenti contro l'intensa potenza di fuoco dei marines e delle forze aeree statunitensi. Sanno di essere molto più efficaci sferrando attacchi terroristici con auto-bombe e attentati suicidi.
È piuttosto probabile che la riconquista di Falluja risulti tanto insoddisfacente nel porre fine alla resistenza, quanto lo è stata la cattura di Saddam Hussein, lo scorso dicembre, o il passaggio della sovranità a un governo iracheno ad interim, com'è avvenuto alla fine di giugno. Ciascuno di questi eventi era stato descritto come un successo che avrebbe segnato un punto a favore degli Usa. Invece, i combattimenti si sono fatti più sanguinosi e diffusi.
Non dovrebbe essere un mistero la ragione per cui sta accadaendo tutto questo. Qualunque nazione si opporrebbe alla propria occupazione. Le invasioni straniere provocano la resistenza nazionalista e, in Iraq, ciò si è verificato con particolare rapidità a causa dell'inettitudine dei comandanti militari e civili statunitensi, anche se, a lungo andare, sarebbe accaduto comunque.
Gli Stati Uniti in Iraq si sono sempre comportati come se la resistenza fosse fomentata da potenze straniere o da seguaci di Saddam Hussein. Una lezione che ci ha insegnato la guerra terrestre dello scorso anno è che gli iracheni pronti a farsi ammazzare per il loro vecchio leader erano pochi. All'inizio di quest'anno, avevo chiesto ad alcuni piloti d'elicottero americani, che operavano da una base vicino a Falluja, contro chi, secondo loro, stessero combattendo. Mi risposero fermamente di essere in guerra contro gli "FF" e gli "FRL", che si sono rivelati essere i combattenti stranieri e i fedeli al precedente regime. Uno di essi aggiunse nervosamente che sembrava esserci un terzo gruppo non ben definito "che ci vuole fuori dai piedi".
America e Gran Bretagna stanno cercando di conquistare Falluja e altre città della zona centrale dell'Eufrate, che sono state il cuore della ribellione in origine; ma oggi si verificano attacchi di guerriglia in tutte le regioni sunnite dell'Iraq. Il controllo degli Americani e del governo ad interim di Bagdad è limitato.
Una delle giustificazioni più strane per l'attacco su Falluja è che così si potranno ottenere le elezioni. Ciò sarebbe vero solo se la ribellione sunnita fosse un miraggio, opera esclusivamente degli "FF" e "FRL" che opprimono la popolazione locale in lotta per la propria liberazione. È molto più probabile che un'impennata negli scontri avrà come risultato un boicottaggio delle elezioni da parte dei Sunniti. Ma se anche votassero, non vi è alcun motivo di supporre che la guerriglia smetta così di combattere, proprio come l'IRA, che non ha deposto le armi, malgrado le numerose elezioni tenutesi nell'Irlanda del Nord tra gli anni '70 e '80.
Le elezioni si terranno in gennaio e il voto sarà massiccio, poiché l'ayatollah Ali al-Sistani, il leader religioso degli Sciiti, vuole che dai risultati emerga che i suoi seguaci sono il 60% della popolazione. Parteciperanno anche i Curdi, che totalizzano un altro 20%. Ma fin dalla caduta di Saddam Hussein, Sistani ha dichiarato di essere contrario all'occupazione e ha posto il suo netto rifiuto a incontrare gli ufficiali americani. Un ulteriore 20% della popolazione è costituito dai Sunniti, i quali hanno mostrato una forza sufficiente a destabilizzare l'Iraq fino a quando lo riterranno opportuno. Non dimentichiamo che, con proporzioni simili nella popolazione, i Curdi furono in grado di destabilizzare l'Iraq per circa mezzo secolo.
Vale la pena di ricordare che queste elezioni avranno luogo soprattutto a causa della resistenza armata. Prima che iniziasse la guerriglia, nell'estate dello scorso anno, gli ufficiali americani a Bagdad continuavano a dichiarare a cuor leggero che la loro occupazione sarebbe andata avanti per anni. È stato solo una settimana dopo, quando la situazione militare stava peggiorando, che gli Usa hanno improvvisamente deciso di nominare un governo ad interim e di tenere le elezioni. Furono molti gli Iracheni a sussurrare che il solo modo per ottenere concessioni dagli americani era quello di tenerli sotto tiro.
Nel loro tentativo di mantenere l'Algeria durante una rivolta nazionalista, i Francesi fallirono malgrado avessero schierato un esercito di mezzo milione di soldati. Con cifre simili, anche gli Usa fallirono in Vietnam e, con un numero molto inferiore di soldati, succederà lo stesso in Iraq. Come per l'Algeria e per il Vietnam, la guerra in Iraq avrà termine solo quando si potrà vedere la fine dell'occupazione.
Fonte: http://www.counterpunch.org/patrick11092004.html
Traduzione di di Tiziana la Cecilia per Nuovi Mondi Media
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