Dall'Iraq all'Ucraina, la "democrazia" è in marcia - schiacciando la volontà popolare.
In Ucraina, decine di migliaia di manifestanti marciano per le strade chiedendo che il primo ministro filo-russo e candidato alla presidenza, Viktor Yanukovich, ceda il potere: ha rubato le elezioni, proclamano. L'intera faccenda è stata "truccata". E come si fa a sapere? Beh, si dà il caso che gli exit polls - condotti ovviamente da organizzazioni occidentali - mostravano che il vincitore era il loro candidato, Viktor Yushchenko. Allorché i risultati finali avevano ribaltato gli exit-polls, e Yanukovich era uscito vincitore, Yushchenko aveva chiamato i suoi sostenitori in strada, si era proclamato vincitore e minacciato la guerra civile.
Cavoli, perché i sostenitori di Kerry non fanno la stessa cosa? Dopo tutto, i primi exit-polls avevano dato lo sfidante democratico come vincitore putativo: il giorno delle elezioni, negli USA, voci di un'imminente vittoria di Kerry erano circolate sulla base di conteggi preliminari raccolti. Secondo la "logica" utilizzata da Yushchenko e dai suoi supporters occidentali - inclusi l'UE, l'OSCE ed il governo USA - ciò significa che il vero vincitore delle elezioni di novembre è Kerry, e nell'Ufficio Ovale siede un usurpatore.
Molta gente già ci crede: Kerry aveva da poco concluso il discorso con cui concedeva la vittoria all'avversario che già si diffondeva come funghi dopo la pioggia la notizia che George Bush avesse "rubato" le elezioni - e non solo in Ohio.
Mentre brigate di "esperti", affaristi internazionali e benefattori militanti di tutto il mondo passavano all'azione, denunciando come "al di sotto degli standard internazionali" le elezioni ucraine, il Dipartimento di Stato USA dava la stoccata finale, minacciando il possibile taglio dei 143 milioni di dollari in aiuti se gli ucraini avessero insistito nell'eleggere il candidato sbagliato. Il Christian Science Monitor cita il portavoce del Dipartimento di Stato, Adam Erali, profferire oscure minacce:
"Saranno certamente prese delle misure se, nell'analisi finale, queste elezioni si dimostreranno fondamentalmente truccate e poco trasparenti".
Questo da parte di un paese il cui leader è stato eletto alla carica dalla Corte Suprema, a causa di un singolo voto.
Il governo USA è a favore della "democrazia" all'estero purché i risultati siano decisi in anticipo. Quando invece un'elezione minaccia di sfuggire di mano e di rappresentare i veri sentimenti del popolo - in guardia! In Iraq, qualche tempo fa, i sicari del "presidente" Iyad Allawi, sostenuti dalle forze USA, hanno assaltato una moschea di Baghdad, ucciso almeno due persone ed arrestato dozzine, inclusi i religiosi anti-occupazione, accusati del "crimine" di aver chiesto il boicottaggio delle elezioni pianificate per il prossimo 30 gennaio.
Dal momento che votare non è obbligatorio, c'è da chiedersi quali siano le basi legali di un'azione simile. O forse il loro vero crimine è stato semplicemente chiedere il boicottaggio? In ogni caso, l'idea di mettere fuori legge un pacifico boicottaggio inverte così grottescamente il concetto tradizionale di democrazia - intesa come consenso dei governati - che non vale la pena nemmeno discuterne. Questa è una democrazia in stile sovietico: cioè un sistema imposto - armi alla mano - in cui ogni dissenso viene schiacciato senza pietà. E non sono solo i religiosi a sentire il fiato americano sul collo: gli uffici di Ahmad Chalabi del Congresso Nazionale Iracheno, nostro ex alleato e destinatario di svariati milioni di dollari delle tasse USA, sono stati nuovamente perquisiti, questa volta da "iracheni mascherati [del ministero dell'Interno] e civili USA armati fino ai denti".
Ogni volta che le truppe del regime Allawi sono sotto il fuoco degli insorti, scappano dal campo di battaglia - o passano nelle fila di chi li attaccava. Far fuoco in un luogo santo ed uccidere uomini disarmati in preghiera è l'unico compito che gli occupanti americani si sentono di assegnare ai loro quisling iracheni. Gli uomini della Guardia Nazionale Irachena sono disprezzati dal popolo dell'Iraq, e non solo in quanto traditori. Ecco il racconto di Umm Fatima, il cui marito è stato ucciso nella battaglia di Falluja, e del suo tentativo disperato di uscire dalla città, riportato da The Australian:
"Non c'era tempo per piangere la morte di mio marito. Sapevo di dover fuggire immediatamente, di dover portare le mie figlie fuori da Falluja ... non c'era tempo da perdere. Non potevo restare adesso. Non avevo paura di morire, ma temevo la vergogna che sarebbe piombata sulle mie figlie una volta che le truppe fossero entrate in città".
E giustamente. Mentre la donna e le sue tre figlie raggiungevano il luogo in cui la città incontra il deserto, si imbatterono prima in una pattuglia americana, che non si accorse della loro presenza, e poi negli scagnozzi di Allawi, coloro nel cui addestramento abbiamo investito così tanto, e allora capirono di essere in pericolo:
"Le donne furono fermate da un gruppo di guardie nazionali che le interrogarono incessantemente. Uno degli uomini adocchiò la figlia maggiore e ordinò che fosse perquisita. "Gli dissi di no, lo supplicai di lasciarla. Gli ricordai che eravamo arabi, musulmani e che questo era proibito dalla nostra cultura, dalla nostra religione", disse Umm Fatima. Lui prese la mano della giovane e cercò di baciarla. La madre, disperata, lo colpì e cercò di spingerlo, mentre le altre figlie urlavano. Non vi era anima viva, nei paraggi. All'improvviso apparvero due militari, che presero a calci l'iracheno e cominciarono ad urlargli contro: "Se davvero eravate qui per liberare la città, non avreste dovuto trattare le donne in questo modo. La gente si aspetta che gli americani si comportino così, non gli iracheni". Fatima aggiunse: "Ogni momento che passava, le forze maligne che avevano ucciso mio padre si trasformavano nel mio salvatore. Un americano mi salvò mentre un iracheno mi assaliva".
Gli oppositori della guerra USA in Iraq hanno spesso arguito che gli sforzi di trapiantare istituzioni occidentali in Iraq sono destinati al fallimento. In questo caso, tuttavia, sembra che l'impianto delle norme culturali occidentali abbia avuto fin troppo successo.
Le elezioni irachene furono originariamente pianificate per il 1 gennaio - in maniera tipicamente orwelliana, tuttavia, lo spostamento verso il 30 non è stato riportato né riconosciuto come tale. Credo che i pianificatori pensino che nessuno si ricordi del piano originario.
Tuttavia, il piano originario era quello di non tenere affatto elezioni, ma di installare al potere Chalabi e la sua cricca. C'era un solo problema: il grande ayatollah Sistani, leader spirituale del 60% degli iracheni di fede sci'ita, non avrebbe gradito, ed alla fine è prevalso. Gli americani possono manipolare la data delle elezioni quanto vogliono, ma prima o poi dovranno affrontare la realtà di un governo eletto dagli iracheni, che chiede la fine dell'occupazione - e allora, qual è il piano? Spostarsi in Iran, in Siria o forse in Ucraina?
Che questi auto-proclamatisi campioni della "rivoluzione democratica globale" tengano un plebiscito in Iraq - non su quale fantoccio degli americani installare ma sulla questione dell'occupazione anglo-americana. Ancora meglio, se il governo degli Stati Uniti è così impaziente di spargere la "democrazia" in tutto il globo, perché non comincia dal suo stesso paese - in cui un candidato presidenziale ben noto ( http://moritzlaw.osu.edu/electionlaw/candidate_ballot06.html ) è stato cacciato dal ballottaggio per aver osato sfidare i potenti e gli "agganciati"? In Ucraina, ci vuole un incontro di "non meno di 500 votanti" per nominare un candidato alla presidenza, mentre un America è necessario un team legale a tempo pieno per battere gli impedimenti e le sfide legali dei "maggiori" boss del partito.
Le elezioni afghane, salutate come un "successo" dai media occidentali, sono state notoriamente fraudolente: i voti sono stati comprati e venduti, urne per il ballottaggio sono andate smarrite, per non parlare dell'inchiostro "indelebile" usato per votare, e che poteva essere facilmente cancellato: l'intero paese è sembrato impegnato in una gara per frodare i votanti - ed il vincitore è stato il "presidente" Hamid Karzai, il candidato del partito Gucci.
Niente di così macroscopico ha macchiato le elezioni in Ucraina, eppure l'occidente ha sfoderato le armi: un rappresentante dell'UE ha paragonato il voto ucraino alle elezioni nord-coreane. Che ciò giunga da parte del portavoce di un'entità che promulga referendum solo se essi ottengono il risultato "giusto" - come in Danimarca, Svizzera ed Irlanda - fa venire in mente il famoso detto di Big Daddy, da "La Gatta sul tetto che scotta":
"Cos'è questo odore in questa stanza? Non te ne sei accorto, Brick? Non ti sei accorto del potente odore di mendacità in questa stanza?"
traduzione a cura di www.arabcomint.com
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